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Storia di Chiamate

Se sei l’unica diversa o sei un genio, o sei sbagliata. Si scelse la seconda

Storia di Chiamate

È tutto finto.
Sono disconnessa perché davvero era tutto finto, e la sola possibilità è entrarci da nuova, se risuonerà con la mia verità.

Cerco segni di chiamate precedenti. Credo che tutta la mia vita sia stata una chiamata, ma all’inizio era difficile capirlo; a lungo, e fino a poco fa, era impossibile capirlo, perché grazie al cattolicesimo, spiritualità e anima significava castità e una certa etica. Adesso la spiritualità laica è in verità passione. Ma io allora non lo sapevo. Allora c’era questa ragazzina tutta casa e chiesa, ma che alla passione non poteva mostrare che timide ginocchia nemmeno così ossute come avrebbe voluto. C’erano sessi inviolabili, labbra chiuse, bocche da rubare e poi pulirle. Più tardi, per prendermi la mia riscossa, ho saccheggiato le mie chiese interiori. Ho fatto fuori dio. Così ero libera.

Ma la vera anima era ancora lì. Le ferite decisero che per me contasse di più non ferire i miei, vivevo tranciata tra una parte passionale e ribelle che li avrebbe offesi, che rivendicava libertà dai lavori ordinari, dalla vita posata. E una me che indispensabilmente si piegava alla norma precostituita. La seconda vinceva sempre. Fuori dalle caipirinha e dalle gonne brevissime, da quello strusciarsi divenuto ormai indispensabile, coprivo lavori qualunque, un desk, un centralino. Poi vinse anche in amore: scelsi S. L’ordinario maiuscolo. L’ordinario così spinto, così assoluto, non lasciava nemmeno il minimo rischio che la mia verità potesse filtrare.

In ogni caso, qualunque fosse il mio tumulto, era facile riagganciarsi alla mia natura da sempre tormentata, alle mie dipendenze da cibo e sigarette, e a quelle affettive, alla mia “eccessiva” sensibilità, a tutto il male che, ripetutamente, causavo a tutti con le mie pseudo depressioni, la mia inaffidabilità, le mie nevrosi, la delusione che procuravo a chiunque... per dire che ero immatura. Ero sbagliata.

Se sei l’unica diversa o sei un genio, o sei sbagliata. Si scelse la seconda. La sentenza fu chiara: sbagliata.

Con la parola immatura sigillarono la mia uscita di scena quando annullai il matrimonio in cui mi stavo cacciando. Qualcosa cominciavo a capirlo. La mia anima urlava, predispose tutto, io sapevo che quella festa di Capodanno sarebbe stata pericolosa, fiutavo. Non so cosa. Non ci volevo andare. E invece andammo. Adesso torno su quell’agendina blu, è mezzanotte e quarantanove di diciotto anni dopo. Lui fu un imprevisto, puntuale e precisamente giusto nel conto dei fatti. Per quanto rigida e convinta potessi essere, mi stupisce che il mio istinto non riuscii a domarlo mai. Non lo domai nemmeno allora. Non è mai stato possibile spegnere del tutto la forza vitale. Quella passione che solo molti anni dopo avrei riconciliato con la spiritualità. Quella: diciotto anni fa... fu la grande occasione.

Ma si dice che è giusto quello che accade, tutto è già amato dallo spazio dell’essere, naturalmente e simultaneamente, mentre lo compiamo. Non da Dio, non da terzi: da noi stessi. E quando ci accorgiamo che siamo il nostro stesso perdono, la nostra stessa ammenda, la nostra soluzione a tutto, l’amore che cerchiamo... allora non ci servono più preti né dei. Dio siamo noi, noi siamo un suo atomo. Perciò non posso che avere compassione e sapere che l’immenso essere che sono ha già avuto compassione, è già compassione, prima che me ne accorga. Devo solo accorgermi che mi sono già amata, che mi amo già, anche per quello che sto facendo adesso. Integrare e perdonare sono gesti dell’ego, è solo prendere coscienza, riconoscere qualcosa che è già, perché in quell’amore dell’Essere che siamo è già tutto amore, ecco la non dualità.

Perché quella fu la grande occasione di diventare io: libera, passionale. La passione è anima e l’anima è passione. Anima e passione sono la stessa cosa. Ma io credetti: a quella storia di essere sbagliata. E così andai ad aggiustarmi. Dopo quattro anni di analisi m’era tornata la voglia di stare tranquilla. Per quanto la psicoterapia liberi da certi giudizi che facciamo su noi stessi, per quanto le mie ribellioni mai spente divennero più consapevoli delle proprie ragioni e dei propri diritti, tutto quello che ottenni, fuori da qualche serata di idilliaca beatitudine, fu di innamorarmi, nuovamente, dell’ordinario.

Come è stato possibile? L’idea che ti costruisci di te ci ha messo anni a formarsi. Decadi. Non se ne va in pochi anni di psicologia. La psicologia sana qualcosa. Riaggiusta. Io, invece, avrei dovuto lasciarmi rompere del tutto. Completamente. Perché quella che seguì quei mesi di nozze rotte e quel ragazzo della festa che presto si rivelò uno stronzo, fu senz’altro una fase di Risveglio dell’anima. La notte buia, il vuoto, il Risveglio un anno dopo. Fu rapido. E poi: si richiuse. Mi ritrovo quasi come allora, però in mezzo ho fatto tre figli. Scrivo sul serio, sono blogger. Ma le cose, ancora, non quadrano.

Eppure c’è la stessa donna selvaggia, l’energia enorme, incontenibile. E l’uomo mite, accanto. Più colto, più pregiato. Ma sempre mite. Ben educato, uno che non farebbe mai come lo stronzo di Capodanno. Quello era uno stronzo: o uno spirito libero? Io sono uno spirito libero, e non riesco ancora a diventare del tutto quella che sono. Siamo a una svolta simile, adesso che ormai è l’una e venticinque, i bambini dormono e lui è sul divano. Dove passerà la notte. Metà dei gridi nei miei quaderni, la penna sempre con me - questo sì - fu per le ferite. Non mi sembra, a leggere, che fossi così priva di compassion, ma chissà quanti strati pesanti si celavano sotto, quante colpe e giudizi.

L’altra metà è l’anima, che aspettava, seguiva il mio percorso di integrazione delle ferite, così che io poi possa portare la luce. Non ha mai smesso di gridare, ma se metà dei miei tormenti erano ferite, è sempre stato facile assegnarsi il ruolo della depressa, della sbagliata. E poi lodarmi in quel nuovo vedermi madre e blogger: mi ero costruita una mia piccola dignità. Non è piacevole sentirmi poco diversa da allora. Devo compiere uno sforzo per ricordare che dopo tanti anni, tre giorni fa, ho capito perché ero sbagliata: devo portare io, la mia diversa forma, nel mondo, e non adattarmi alla sua. Adesso sono qui che aspetto. Che cosa si salverà da questa nuova parabola. Da questo grido ennesimo. Mentre i bambini dormono. E il marito è un corpo greve.

[22 maggio 2020]

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