Come fu per il funerale di L., ma oggi di più e con una consapevolezza e realizzazione del tutto diverse, ho faticato a sopportare la falsità del rito. Nei funerali cattolici si celebra la separazione, che è proprio l’illusione che genera sofferenza. In ultima analisi il dolore e la perdita sono illusioni, siamo una sola coscienza che si muove e genera forme apparenti che vanno e vengono.
Accudire il dolore sottolineando la divisione tra il qui e il dopo, tra corpo e non, tra noi miserabili e dio, non è che un modo meschino per soggiogare le masse. Ma anche questo, accade ancora nella coscienza ed è amore come tutto. Me lo sono dovuta rammentare.
Mentre il prete implorava salvezza per il defunto e il clima generale era di schiacciamento sotto quella che viene tramandata come una condanna e non un passaggio di stato, mi sarei levata a gridare: “Lui sta bene!”
Esistono milioni di testimonianze di esperienze di pre morte e quella gente ha visto cosa accade: accade che la luce è tale che nemmeno avrebbero voglia di tornare indietro. Traditori? No: esseri di luce.
La Chiesa mente. E che menta, sebbene ingenuamente, nel vivo del dolore, è qualcosa che, ancora, devo ricordare pura forma di amore sostanziale, altrimenti divento matta. Nessun dolore è in ultima analisi reale, perché non siamo separati da nulla, non siamo separati dall’amore che cerchiamo, da dio, dall’eterno e dall’infinito. Soffriamo perché la forma umana è caratterizzata dall’illusione del dolore.
Quando si dice “la nostra umanità” si dovrebbe dire “la nostra illusione”. Quella che chiamiamo umanità per indicare la vulnerabilità è puramente illusione di separazione. Non sto dicendo che allora basta non illudersi: l’umanità è proprio questa, è cadere nell’illusione.
Allora un rito di congedo a un corpo che muore, deve ricordare la Realtà, deve lenire l’illusione. E non, giammai, acuire la dualità illusoria e poi farci un ponte con su la targa “Fede”. L’insegna: “Per Dio prossima usciata a destra, e speriamo che ci prenda”. Questa è follia.
Quasi nulla può lenire il dolore di una perdita come la morte di un proprio intimo affetto. Ma di certo sarebbe utile sostenere il Reale: la perdita è apparente, la morte è apparente, il dolore è l’inevitabilità dell’apparenza, perché ci hanno educati alla solidità della materia come reale mentre il resto è affidato alla fede. Eppure il corpo è fatto al 99.9% di vuoto. Allora, illusi che ciò che risponde ai cinque sensi sia reale e ciò che non risponde ai cinque sensi vada sotto il nome di fede, continuiamo il gioco dell’illusione. Ma dal punto di vista della coscienza che tutto è, e che è Amore intrinseco, non c’è altro che coscienza e quindi amore: e io ho avuto la grazia di sperimentare che non esiste altro.
Per la coscienza la persona è coscienza, un palo è coscienza, un pensiero è coscienza, un’emozione è coscienza, la paura è coscienza, un desiderio è coscienza, la materia è coscienza e la morte fisica è ancora coscienza che vive.
La coscienza è Una e si compone e disfa ripetutamente in forme più o meno registrabili dai cinque sensi: l’errore è che abbiamo deciso che “cinque sensi=realtà”. La sola cosa Reale è l’amore di cui tutto è indistintamente composto e che non ha un dentro o un fuori, un materico o meno.
La coscienza è un adesso infinito ed eterno di amore assoluto che prende conformazioni apparenti in tempi e corpi ed eventi apparenti. Un rito vero dovrebbe aiutare a ricordare questo. Sostenere il dolore ma ricordando questo. Altrimenti è disonesto, è menzogna.
Questo, oggi, è stato per me il dolore maggiore. Vedere tutte queste persone soffrire perché nessuno sostiene il reale. Molta di quella sofferenza si poteva evitare. Bisogna spostarsi dall’identità di individui umani, a quella indefinita di coscienza. Applicare una fede mantenendo l’identità umana è ancora menzogna. Dico queste cose perché ho visto, ho esperito, ho visto cosa sia la coscienza, ho esperito l’illusione della separazione, l’amore divino e la pace di cui tutto è incessante moto.
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