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La scusa dell'anima come necessità narrativa

Cominciate a partire dalla prospettiva contraria: non esistere, anziché esistere



Credo che molti partano da ego e ferite e questo li tiene sempre in una necessità narrativa.


Se invece parti da emptiness e beingness cominci a sondare che esisti “senza” le identità. Questo non le elide, il processo è lungo in ogni caso, ma hai cominciato a minare la radice di ogni sofferenza: l’io.

Coltivare questo spazio vuoto porta via via a cominciare a invertire i personaggi col fondale: tu non sei ciò che si muove davanti a un fondale neutro che assiste imperturbato. Tu sei il fondale.

Questo è un primo passaggio. Poi via via che attraverseremo ombre e ferite che riemergono, esse si riveleranno per coscienza non separata, ampliando l'espansione.


Questo shift identitario richiede tempo e pratica, la pratica consiste e nel coltivare vuoto e nella disidentificazione da ciò che emerge. Disidentificarsi da ciò che emerge vuol dire accettare di staccarsene: questo si fa osservando, sentendo senza giudizio, ma si rende possibile anche perché si va formando in noi memoria e consapevolezza che staccarsi è possibile, che cadremo in quel vuoto che abbiamo già conosciuto.


Se poi si ha la fortuna di ripetute crisi nelle quali la morte egoica ci porta al limite e poi alla resa incondizionata (per ciò che è al momento consapevole), via via approfondiamo questo lasciare le identità, che non è repressione ma un sempre più spontaneo lasciar essere e dissolverne la necessità.