La strada del Sé non è quella dei traumi risolti: è quella del radicamento al di sopra di essi, dove tutto può emergere e sparire e tu resti libera
La strada del Sé non è una strada priva di ostacoli e di sfide. "Non inseguire il relativo: trova la strada per l’Assoluto e stabilisciti lì." Ma questa strada è da salvaguardare e percorrere molte volte. La scelta di base è sempre quella di privilegiare la verità, non l’illusione, e tuttavia non si dice forse che “la carne è debole”?
Anche una volta compreso ed esperito che la tua verità è nel Sé e non nell’io persona, specialmente relazionandoti alla materia, sentirai l’impatto. Anche una volta riconosciuta l’illusorietà dei personaggi, di ciò che chiamavi “me” o “parti di me”, i vecchi pattern e ferite richiedono tempo per essere sciolti, e in più altri radicati nel subconscio risaliranno a sorpresa.
In ogni momento in cui qualcosa ti provoca si riattivano gli schemi mentali: non solo quella particolare ferita, ma anche la tendenza stessa a personificarla, a spaventartene.
Un Sé esperito, anche per un po’ di tempo con stabilità, è facilmente suscettibile di essere apparentemente perso.
Dobbiamo sempre tenere presente che farsi vuota è lo snodo tra ego (mente, pattern, paura) e Sé (verità, libertà, amore).
Ora, questo vuoto è sacro, è la capacità di non trattenere, di smettere gli attaccamenti. Quando perdura, viene riempito dalla nostra stessa essenza, che è pace e amore, divino, ossia chi sei. Ma più fai spazio più risalgono anche ombre del subconscio, spesso sull’onda di una contingenza. Da un lato tanto più hai esperito la libertà del Sé tanto più si liberano vecchie energie. Dall’altro, hai visto chi sei e il disagio in ciò che non sei è percepito con una sensibilità estrema, sia perché sei più evoluta e sensibile, sia perché la distanza apparente tra la verità e l’illusione aumenta.
Finché vivevi da persona era normale avere porte chiuse di cui nemmeno ti accorgevi, ed era anche normale stare male, soffrire, accontentarti: chiamavi tutto questo “sono fatta così, ho i miei limiti, la vita è dura”.
Ora sai che tutto questo non è vero, e nondimeno dinanzi a grandi sfide il ricordo della verità appare inafferrabile, e la persona sembra di nuovo inevitabile, con grande sconforto. Ora, lo sconforto è della persona stessa, perché mentre ti dibatti per il Sé apparentemente perduto, il Sé è sempre lì, ed è ancora, sempre, ciò che sei. Semplicemente, sei ricaduta nell’illusione, e l’illusione, in quanto tale, è credibile, altrimenti non la chiameremmo illusione. Ricadere nel gioco della mente vuol dire perdere il proprio potere e poi - sempre parte del gioco - soffrire di questa stessa perdita, alimentando così il permanere stesso nell’illusione.
Finché la provocazione è minima
e la sensazione di disagio non così pervasiva, ossia finché non è intervenuta la paura in maniera consistente, piccoli accorgimenti possono aiutare a riportarsi nella verità e sono in realtà ciò che andrebbe curato comunque: coltivare il silenzio con devozione, stare nei gesti, dare tempo al trigger di trovare la sua strada semplicemente con consapevolezza e affidamento sapendo intimamente senza indugio che la coscienza sa chi sei, e lasciare ogni commento o compulsione a risolvere e dissipare. Rimani aperta, indifesa e del tutto affidata a ciò che sai, non credere ai dubbi che inevitabilmente sorgono in questi momenti e non fare proiezioni: “Ma forse devo guarire qualcosa, ma vedo che non riesco, non mi piace come mi sono comportata, sono delusa, è sempre così”. Non dare via il tuo potere: limitati a riconoscere quanto accaduto e le emozioni che si sono attivate, senza personificarle e soprattutto fidati che il cuore sa e fa. Torna dove sei chi sei.
Scegli di nuovo l’Assoluto e, se non senti alcun Assoluto o potere e amore, scegli comunque il vuoto.
Ricorda: il vuoto è lo snodo, se sei caduta verso l’ego e l’illusione, comincia a non attaccartici e resta ampia e vuota, fai spazio perché l’illusione si disperda senza forzare nulla.
In queste occasioni è relativamente facile non farsi travolgere e mantenere il punto, per così dire. Meditare e stare nelle piccole cose invece di controbilanciare con grandi progetti o creazioni che avrebbero il solo intento (nascosto) di dimostrarsi la verità, di reagire al fastidio, è la scelta migliore. Non ingaggiare alcuna battaglia.
La tendenza a reagire e dover dimostrare, se emerge, è spia della paura: di perderti, di non riuscire, di aver “perso tutto”. Fa ancora parte del “pacchetto dell’io”.
Per dirla in termini di transurfing: esci dal pendolo.
Se il malessere perdura,
se a quella prima contingenza ne seguono altre e il dolore si intensifica, solitamente tutto sta collaborando per far emergere un pattern o un trauma. A livello del Sé non esistono pattern né traumi. Ma se il dolore è pervasivo e sei identificata, saltare fuori di lì negando non sortirà alcun effetto. In questo caso accade una reazione a catena: trigger, disagio, intensificazione, dolore, paura, distacco dal Sé, ulteriore paura, dubbi, sfiducia.
È a questo punto che, ormai intrappolata nella persona (ossia al livello di coscienza in cui inevitabilmente la mente chiede intervento, integrazione, guarigione, soluzione), ogni consiglio che incroci sul web relativamente a traumi, guarigioni, self-love, integrare le parti di te, capirti, smantellare convinzioni limitanti, guarire le relazioni originarie coi genitori, inner child, e via dicendo, ti metterà in crisi: penserai che la strada scelta è utopistica. Se tutti lavorano sulla persona, ci sarà un motivo. Metterai in dubbio tutto e userai quei consigli a dimostrazione che ti sei ingannata.
La strada del Sé non è una strada che rende puri e liberi all’istante.
In ogni momento in cui qualcosa si rompe e ti lacera, l’imperativo è fermarti. Non hai scelta. Tuttavia, hai due alternative: la prima è correre a intervenire, restando nel livello persona (che è dove la coscienza ti ha portato in questo momento) e dando così alla mente il sollievo momentaneo di aver risposto alla chiamata della ferita. La seconda è la non azione:
se hai scelto la strada del Sé devi accettare che i suoi tempi e modi non sono quelli della mente e della persona.
Quindi devo subire passivamente tutto ciò che sale? dirai. Il Sé sta facendo pulizia a suo modo. Non sei tu che puoi decidere. Se continui a metterti in mezzo è come se continuassi a spostarti da una strada all’altra.
In questi casi di dolore anche lacerante, la gran parte della pena è perché hai perso fiducia nel Sé e hai giudicato che il Sé non dovrebbe farti soffrire così. O che stai sbagliando qualcosa. Hai paura che non ne uscirai mai.
Questa reazione è sempre parte dell’automatismo mentale di sopravvivenza. Per questo si parla tanto della necessità di quietare la mente. Non c’è alcuna garanzia che non avrai più traumi da processare, anzi facilmente ne avrai sempre.
La strada del Sé non è quella dei traumi risolti: è quella del radicamento al di sopra di essi, dove tutto può emergere e sparire e tu resti libera.
Mooji dice: “Non puoi saltare nell’Assoluto ma puoi saltare fuori dal relativo”. Dice anche: “Se in quelle falle tu cedi tutto il tuo potere e ti fai ipnotizzare, allora scendi come nelle sabbie mobili”. Shunyamurti pone una domanda provocatoria e cruciale: “A cosa vuoi essere devoto? All’illusione, o al Reale?”. Gesù chiedeva, similmente: “Chi vuoi servire, Dio o mammona?”, ossia Dio o la materia, dove per “materia” si intende non solo soldi, beni materiali, successo, possesso, ma anche il relativo, il personale.
Non è forse possesso, quello che non ci fa lasciare il dolore? “Il mio dolore, io ho un trauma, è il mio pattern, il mio problema, il mio corpo di dolore”.
Possesso, significato e paura sono le coordinate dell’ego, consce o inconsce che siano.
Anche nel caso di grandi energie che risalgono, la scelta per l’Assoluto è ancora la risposta. Tuttavia, quando travolta, quando l’attaccamento non permette il distacco se non per repressione, per illusione ancora egoica, le chiavi sono due:
osservazione e pazienza. Lascia scorrere il dolore senza ragionare ma senza appropriartene. Osserva sia il dolore sia la tendenza al significato e al possesso.
Riconosci il gioco mentale di difesa al risalire di vecchie energie, dai alla risposta il tempo naturale di emergere.
Ciò che davvero ti manca e che ti fa soffrire è sempre la paura di essere l’amore che sei.
Non c’è altro, ma salirà da sola, come origine di ogni declinazione per cui oggi soffri perché rifiutata, e credi sia un pattern di abbandono, domani soffri perché inutile, e credi sia un bisogno di sentirti utile, e via dicendo.
Lascia al dolore il tempo di emergere e scorrere e tieniti attaccata alla Forza Interiore.
Non dibatterti se non senti il Sé e nemmeno se non sai, in questi casi, restare vuota.
Il dolore emerge non perché va guarito, ma perché aspettava di liberarsi come non ha mai potuto fare prima, quando stava nell’inconscio o quando un ego lo copriva.
Se non opponi resistenza e non corri a cercare risposte e guarigione, ad aggiustare cose, a un certo punto, spontaneamente, il dolore comincia a diradarsi, come fumo, e pian piano ti risvegli dall’illusione.
A un certo punto, una mattina o in una meditazione, sarai stanca della bufera. Ma una stanchezza giusta, non di fuga: sarai stanca di credere a questo dolore e comincerai a “ricordare” chi sei,
comincerai a sentire che non ne hai davvero bisogno, che hai visto ciò che c’era da vedere e che, tuttavia, la terra sotto i piedi non ha mai tremato. Allora ti accorgi che in verità sei radicata nel Sé più di quanto credessi.
Appena senti questa stanchezza “giusta”, resta calma e riposa nella riscoperta della pace Reale. Che non è il sollievo per la tempesta passata, ma la riscoperta della pace mai smessa.
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