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Immagine del redattoreBhakti Maddalena

Rovesciamento, l'importanza della dualità, e pratiche spirituali

Il "rovesciamento" è una svolta del processo spirituale in cui l'io smette di essere chi fa e chi vuole, e chi pratica è la Verità stessa



In rovesciamento Dio è prima di me come evidenza e priorità, non come intenzione ma come risposta, e la sua volontà è assolutamente maggioritaria sulla mia. C'è la Chiarezza di una realtà altra, che chiama.


L'intenzione è intellettuale, anche se ha emozioni di cuore: qui è il magnete che succhia, il reale che sovrasta.

L'intenzione ha bisogno di un io (illusione) più grande di Dio, è un non ascolto perché la Chiamata è più forte della mia intenzione e se la mia intenzione è a favore della Chiamata allora diventa obbedienza e rinuncia alle intenzioni! (Non è forse stata la Chiamata a farti lasciare le tue certezze e le tue intenzioni?)

L'intenzione è un tenersi ancora separati, non aderenti, e credendo di poter avere idee migliori di Dio o di essere già Lui.


Nel rovesciamento il Grande sovrasta il piccolo e il piccolo risulta riflesso del Grande. Le due sole leve sono adorazione e priorità, cioè che Dio è in maggioranza, come la Chiamata era più forte dei tuoi piani, come la crisi è più forte delle identità. Queste sono date dalla Chiamata stessa, non dal volersi disciplinare, e la disciplina ne è, invece, frutto.


La determinazione personale non potrebbe mai bastare, anzi va indebolendosi perché è di colui (l'io) che nulla può.


La forza del reale è sprigionata dalla forza del magnete, della Chiamata, dal nostro farci minimi, e non dalla forza della nostra determinazione personale. Se il reale manca, e spingiamo, possiamo anche bucare il velo, ma è come scendere dall’aereo prima che sia in quota: non si vola.


Finché non c'è rovesciamento, cioè fintanto che la resistenza è in maggioranza, non è indicato prescrivere japa e pensare sempre a Dio, perché il primo pensiero è l'io e non può essere altrimenti: tutto è intercalato dal velo "io che", e un pensiero (io) che pensa sempre a Dio finisce solo col generare enorme resistenza o allucinare. Dunque semplicemente ci fidiamo e non ci forziamo, privilegiamo il sentire e lo stare in ciò che è, esploriamo la natura di questo io, troviamo Dio e l'ardore quando non lo cerchiamo, nei gesti comuni, ma non possiamo dogmatizzarlo, a meno che non sia nostro desiderio autentico fare di continuo il suo nome. Finché, cioè, la mente non scende nel cuore, il pensiero di Dio resta pensiero, è poco fertile, è preferibile riposare la mente.


Dopo, quando la verità prevale, allora anche fare il nome di Dio vale a adesione al vero e non a pratica per evolvere: è proprio il contrario, riportiamo la mente all'obbedienza che essa sta via via accettando con bellezza crescente. Si stabilisce col divino una tale intimità che fare il suo nome riporta alla Presenza, all'adorazione.

Il japa diventa un ricordare, non ha scopo e se lo ha è in servizio dello scopo divino, del divino interiore. Le cose con uno scopo vanno del tutto scomparendo man mano che si supera la cortina egoica, che la coscienza rientra nella purezza.

In questa alleanza crescente rinunciamo sempre di più a chiedere e volere.


Rinunciare a tutto o stravolgere la propria vita per qualcosa, è cosa che conosciamo: solo non siamo abituati a farlo per qualcosa che non è di questo mondo, dei cinque sensi.


I preti e le suore lo fanno e noi pensiamo che noi laici abbiamo il diritto e l'ovvietà di credere in Dio, anche prima di tutto, ma di "avere" una famiglia, un lavoro, dei sogni, oppure li vediamo come dono perché rispondono a ciò che noi desideravamo. Non è davvero così.

Dovremmo e potremmo essere missionari, di Dio, suoi, prima di tutto, e capire profondamente che tutto il resto non solo non ci appartiene ma non è eterno ed è solo un "come" e non chi siamo. Gesù disse "vengo a separare le mogli dai mariti e i genitori dai figli", che i figli sono dono di Dio è ovvio perché è la natura che li crea, ma noi usiamo dirlo per darci approvazione del nostro desiderio.

Quando noi mettiamo Dio al primo posto, stiamo mettendo al primo posto un io che mette Dio al primo posto. E questo io lo mette al primo posto dopo il sentimento di sé, con più o meno conseguenze materiali, sociali e convenzionali.

La Chiamata è una crisi perché mina il sentimento di sé. Vuole portarti dove non sei tu che metti Dio al primo posto come "io", ma dove Dio si impone su qualsiasi senso di io.


Così Dio ti dà la crisi, l'ardore, l'adorazione, la devozione, la grazia, ti rovescia, non potresti farlo tu, non avresti mai quella forza e grazia ma nemmeno ti faresti tanto male. Allora a un certo punto a te sembra che rinunci alla tua vita per Dio, per amore. Ma in verità la stai trovando, stai solo smettendo di essere quello che diceva di mettere Dio al primo posto e però voleva questo e quello come fosse una persona separata da quel Dio. Stai smettendo di resistere.


Ed è importante dire che quell'ardore che chiama è Dio, e non affrettarsi a dire "sei tu che ti stai chiamando", perché c'è ancora troppo ego, troppa illusione di sé stessi, e l'ego penserebbe "ah ecco, finalmente adesso sono chi sono". Invece non ci può diventare in alcun modo, perché se c'è l'illusione non c'è la verità e se c'è la verità non c'è l'illusione.


Per questo non si passa, per la mia esperienza, da dualità a non dualità semplicemente sentendo che esistiamo e dunque "io sono", né impegnando quell'io a progredire. Nel primo caso facciamo direttamente il passo nel vuoto e ci priviamo del sentire che è un grande modo e canale di non azionare il pensiero (adorazione ma anche il sentire delle resistenze), o rischiamo di prenderci per Dio molto anzitempo (!); nel secondo perché restiamo nell'illusione di un io che dunque non è in grado di dubitare della propria esistenza e che non ha mai sondato il presupposto.


Potremmo dire che i sostenitori della awareness mancano di sentire, ma i progressivi ne usano troppo, e mancano invece di vuoto dall'io, dai presupposti egoici e identitari.

Cosa c'è dunque tra chi deve sempre sentire e sanare tutto e chi parla solo di awareness e beingness?

L'adorazione, che è generata dalla Chiamata.


Da dualità a non dualità si passa per me solo con il dubbio sull'io e l'adorazione per Dio, sentendo senza dubbio che quell'ardore viene da Dio, non da me. Finché Dio è in maggioranza sull'io e l'illusione si scioglie.


Dall'io a scoprirsi "Dio" c'è la Chiamata, l'adorazione, l'adesione, e la morte, in essa, di chi non è mai stato reale.

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