La via della non violenza
Mi pare ancora che l’onestà sfacciata, indifesa come un bambino, sia molto più consona che l’osservazione , la quale ha sempre in sé il seme del distanziare, del separare e, dunque, del giudizio, della disciplina, del voler mondare: la via della non violenza non è una via da vittimismo ma una trascendenza possibile solo in una totale non paura. Essa è la via della non opinione, della non valutazione: non ho voglia di fare i piatti, ebbene non ho voglia di fare i piatti. Se non ne faccio un problema, se non ho già l’intenzione correttiva, l’intenzione di “osservare la resistenza”, se non la chiamo resistenza, non vi è nulla cui resistere. Allora faccio i piatti. Lo stesso è sempre stato per la devozione: posso trovarmi in momenti di intensa contemplazione, o per dirla tutta credo questa sia la natura stessa del vivere, dell’anima e della verità, ma quando un vasana (meccanismo) pare far dimenticare la bellezza e perfino la voglia di bellezza, la totale “non problematicità” del vasana ne porta lo schiudersi: questa non problematicità non è un’azione né una controazione né un’intenzione né un trattenersi: è la totale non violenza, come potrebbe essere il nostro sguardo verso un bambino, un cuore delicato, un fiore. È una delicatezza che viene prima dell’osservazione, della disciplina, della pratica: è una forma di grazia. È già l’amore tenero, prima dell’io. Potremmo vederla come un perdono perenne. In questo disarmo non portiamo con noi nulla, siamo in pace, siamo a prima dell’accettazione volontaria . È molto semplice, estremamente semplice, ma occorre una totale non paura o, se vogliamo, una fede incondizionata. Se vi si riesce, non occorre altro. Se non vi si riesce, lì si cominciano le manovre, tutte destinate al fallimento perché, per come esperisco, esistono solo due vie: il disarmo in questa grazia, oppure la resa e la capacità di riportarsi alla awareness . Questa della non violenza non è una pratica, la pratica è una non pratica, è in verità un’assenza di armatura. (Il non correggere, il condono continuamente in atto: allora poi si scopre che non è scopo del condono aggiustare le cose, ma illuminare di una tale grazia e traghettare verso una tale delizia dove, semmai come byproduct, la materia migliorerà, ma soprattutto non sarà rimasto chi chiede). La via della non violenza è delizia: serve non avere paura e permettere in cuore. La disponibilità che diamo (anche all’ego, alla ferita) viene ripagata da una dolcezza. Una nota sul sentire: ogni sentito è inevitabilmente "personale" nel senso che così lo percepisce la coscienza, è intimo, ci riguarda profondamente, è l’identificazione che è personalissima, non la coscienza : distanziarlo lo mantiene in resistenza e copre perciò la consapevolezza della maturazione di coscienza. Più sento personalmente e più ritrovo dimensione libera dal personale. Ciò che invece non è personale non è il sentito nella sua disarmante vulnerabilità (che lo rivela innocente, "amabile") ma lo scudo egoico che la colpa ha indetto e imposto. Voler sentire un sentito come “energia” è già una manipolazione: non è ciò che il sentito sente, è una interpretazione, ma non è la “sua”. Sentire in corpo, come fa il tantrismo, è una opzione: per altri, la preferenza è al cuore. Il cuore connesso al divino, immerso nel divino e nella grazia, sente ciò che è, non valuta nulla, non modifica niente, benedice. La resistenza non è un ostacolo ma un tempio. La via della non violenza è dapprima un permesso che smette di imporre difetti. Poi diviene però una maturazione di coscienza cioè si mostra per la nostra vera natura, indicando sempre più chiaramente che fino a lì tutto ciò che ci siamo chiesti, lo ha chiesto solo l’ego . Il subconscio non è un difetto: il subconscio è una disperazione. La disperazione di essere separati da Dio. La spiritualità onesta dovrebbe portare un perenne perdono e non una serie di must e must not che inducano altre tensioni e separazioni nel mentale. Ogni tentativo avrà il suo contrario: il non tentativo è la grazia. Che è, infine, il riflesso della misericordia di Dio. Se trovate in voi questa capacità, stabilitevi lì.
Il cuore immerso nel divino e nella grazia sente ciò che è, non valuta nulla, non modifica niente, benedice. La resistenza è un tempio.