Cosa senti se immagini di smettere ogni percorso spirituale, ogni cosa da aggiustare?
Stare bene con sé stessi, essere una persona felice, prendersi cura di sé: conosco pochissimi, e solo nel direct, che superano questo spazio orizzontale. Esso è pericoloso quanto il vittimismo, è solo il suo reciproco: è il protagonismo dell’io illusorio. È uno spazio che può diventare anche molto ampio e sereno ma sarà sempre vincolato al paradigma dell’ego ossia piacere, dovere, sforzo per equilibrare o superare i due.
Quello che si fallisce dal vedere è la sola domanda necessaria: l’io. Osservare attentamente che l’io si disfa in nulla e che perfino l’osservatore di pensieri ed emozioni è ancora un attore che teniamo stretto o, ancora, sappiamo sondare la coscienza in cui tutto questo accade, ma sull’ultimo ci freghiamo: “Sono presente”. L’io è ancora il soggetto, il lembo mentale che sussurra: “Be’, per forza, se no come agisco?” Questa è la trappola in cui vedo cadere tutti (me compresa). Tutta la fascia olistica, di guarigione, di cura delle proprie ferite, di riequilibrio: tutti questi attori vivono nella dimensione evolutiva, identificati cioè con il personaggio e sempre nel calcolo delle possibili conseguenze.
A un certo punto, invece, si smette di cercare, si smette di mentirsi: nulla interessa più, ogni desiderio si vuota come un sacco bucato, e parimenti ogni desiderio di guarigione fisica o mentale, di perfezionamento.
Si comprende intimamente che tutte queste cose erano finte responsabilità per non osare pensarsi senza. Senza cosa? Senza uno scopo, un male da aggiustare, un progetto, una direzione: senza noi.
Il self love è una solitudine in cui ci consoliamo. Non può esistere. Esso è una profonda inconsapevolezza, una disperazione non consapevole. A meno che non riconosciate in quell’amore, dio: ma se così fosse, voi non ci sareste più. Preghereste di morire in esso.
Il self love può essere una conquista personale rispetto alla sfiducia, all’odio, ma è sempre a livello dell’ego e andrà abbandonato in favore della trascendenza dell’ego tutto: è come ogni altro desiderio formale, la fiducia, il successo, sentirsi buoni, capaci, la macchina nuova, la casa migliore, il fidanzato più interessante e focoso. Sono tutte chimere. Via via si comprende che nemmeno lì stava ciò che davvero si cerca e che, anche in questo, altro non si è fatto che cercare di proteggere un io identitario e rimandare il suo scioglimento nell’infinito divino senza io. Si prova allora una profonda delusione e la comprensione che perfino il self love, come l’evoluzione e il miglioramento, a un certo punto sono tentazioni, non strade.
L’ego si scioglie non per amor proprio (il quale mantiene nell’illusione del soggetto illusorio) ma per Silenzio, per sparizione nel divino.
Ci si fa sempre più piccoli, non si cresce niente: né la fiducia né l’amor proprio né l’autostima né le competenze.
Questo non è così difficile, quando si osserva l’illusorietà dell’ego e si Ascolta l’Immenso e solo Desiderio. C’è solo questa delusione, di vedere che ogni miglioria personale non ci ha, infine, portati a nulla.
Siamo migliori, più caritatevoli, più generosi, più dolci e perfino più felici, eppure comprendiamo che anche questo era un desiderio illusorio, come quello di evolvere. Ecco la delusione a lungo rimandata. Allora ci sediamo. Ci fermiamo. Dio ci aspetta lì.
Be naked. Drop.
Maddalena
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