Il fallimento delle pratiche
Ma da che l'impegno è diventato più importante del movimento dettato dall'anima e dal silenzio, io sono diventata il cercatore, ho stabilito che dio doveva venire da quell'allenamento, da quella formulazione, perfino nei gesti comuni. In altre parole, dalla decisione della mente. Nient'affatto a servizio dell'anima ma di sé stessa. Ho tolto potere all'anima e l'ho dato alle tecniche. Ho smesso di trovare dio in me secondo le vibrazioni dell'anima e preso a cercarlo secondo le pratiche. In un sistema che poi deve compensarsi cercando dio nelle cose, perché si è smesso di Vedere

Radicarsi non è essere in un progetto spirituale e poi, parallelamente, dopo che avete imbottito ogni istante di japa, di allucinogeni, cercare di stare nei piedi o fare una passeggiata. La mente non sa più stare zitta. L’avete ossessionata.
Invece di vedere un albero nella sua meraviglia priva di concetti, vi cercate dio. Ma chi cerca è la mente, e ciò che cerca è un concetto. Chi trova è l’anima, e ciò che trova è privo di concetti.
Il japa è un concetto e un esercizio, ha una finalità, vi tiene in un esercizio mentale. Incrociate una donna che ha bisogno di aiuto, e non la vedete. Dovete pensare “om nama shivaia”. Tale è lo sproposito. Il figlio vi parla e voi siete concentrati: “Devo vedere dio”,
in una presunzione folle, la mente diviene folle.
Vi basterebbe sapervi nulla, niente, nessuno. Non esistere come cercatore né trovatore. Farvi da parte. Allora vedreste il figlio. E in quel momento assoluto, il figlio è Vita, e la Vita è un dio che si esprime