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L'illusione di dover proteggere l'individualità

Dissolversi non è passività: è obbedienza


Questa cosa di proteggere l’individualità se no si è inconcludenti, o inaffidabili, o non avremo la mission, torna ripetutamente nell'ambiente spirituale (per così dire), addirittura offerta come monito: "Non scomparire!". Ne ho già parlato ma lo faccio nuovamente. Esistono molti livelli di energia, da quelle più grossolane a quelle più sottili, fino a una forma di totale "trasparenza". I bisogni, le paure, il sentirsi necessari, la ricerca di una mission, di uno scopo, l'intenzione: tutte queste cose afferiscono a livelli ancora grossolani, cui l'ego si attacca con tenacia. Per ego non intendo solo l'io psicologico ma il senso stesso di individuo separato, l'utilizzo cospicuo dell'intelletto laddove l'intelletto non può in alcun modo esplorare né partecipare.


Piuttosto di ammonire sul mantenere l'individualità, andrebbe promosso l'invito opposto: non ne lasci mai abbastanza.


L'insistenza a proteggere e serbare l'individualità è davvero pericolosa: sarai veicolo divino nella misura in cui gli fai spazio.


La vita ci dà ogni secondo occasione di rinuncia ma soprattutto per accorgerci di quanto esageratamente ci difendiamo (salvo poi cercare di essere generosi e amorevoli): poniamo che stiate leggendo un libro o facendo qualcosa al computer, e vostra figlia venga a dire che si stufa e che vuole giocare con voi. Accettate (forse per dovere, per evitare colpe, per piacere, per lei). Il tempo passa: dieci minuti, venti, trenta.

In ogni istante avete la possibilità di tornare alle vostre cose oppure di lasciarvi rubare. Non contemplo qui il “decidere” perché questo decidere fa ancora parte di una organizzazione del tempo: vuol dire che perfino negli affetti e nella gestione delle vostre passioni, vi muovete in modo funzionale, progettuale, il che è diametralmente opposto all’amore.

Dunque, dicevo: in ogni istante avete la possibilità di smettere il tempo, fondamentalmente, di lasciarvi sfondare da questo imprevisto. Fino a diventare l’attitudine stessa di non avere piani. Che, guarda caso, è anche la sola che vi consenta di giocare davvero con la figlia. Oppure di rimanere chi siete: giocare e poi tornare alle vostre cose senza interrogarle, o – ancora peggio – interrogarvi perché siete persone consapevoli e responsabili e trasformate l’istante in una psicanalisi.

La vita vi dà costantemente l’occasione di accorgervi che la tendenza a difendervi, a mettervi per primi, a partire da voi (e poi viene il resto) è talmente radicata che non correrete mai il rischio di trascurare qualcosa che vi riguarda e che è realmente necessaria. Mai.
Ciò che davvero dovete portare avanti, di funzionale o di planetario, di indispensabile, è pochissimo. Ma per comprenderlo è necessario lasciarsi divorare da questo virus buono perché il rischio di proteggersi troppo è miliardi di volte maggiore del rischio di perdersi troppo: come potete perdervi? Dove volete cadere? Forse fuori dall’Universo?

Se si permette questo virus buono e già presente senza che dirigiamo questo o quello neanche fossimo manovratori di una diga, via via si scopre che ciò che cerchiamo sfugge completamente a quelle logiche e bisogni progettuali e di organizzazione del tempo, della mission, dello scopo e del proprio protagonismo, dove credevamo di trovare la verità.

Dovete lasciare il "mediatore", perché ciò che chiamate "Io sono" è un mediatore che disturba.


La vita non solo ce ne dà occasione ogni minuto (l’autobus che non arriva è la possibilità di andare a piedi, la figlia che ci vuole è la possibilità di non appartenere a nulla, la corrente che salta è la possibilità di conoscere al buio, e così via), ma ci ha già mostrato innumerevoli volte come la verità stia nell’imprevisto: perché

ciò che è previsto è noto e ciò che è noto è del passato, è solo un pensiero: inclusi i nostri "presupposti".

Quando saltano i tuoi piani non solo conosci qualcosa di nuovo, ma conosci ciò che sei al di là di ciò che volevi. Perché è come se si aprisse una finestra nello spazio tempo: e se non ti affanni a risolvere l’intoppo materiale, puoi presentire il brivido oltre la materia, che è il vero scopo della Vita. In ogni istante contravvenire a ciò che la mente aveva disposto. Incluso come e cosa devi essere e difendere.


Dissolversi non è passività: è obbedienza.

La quale richiede apertura, abbandono, Fede, Ascolto. L'Ascolto non può essere tale se sono impegnato a proteggere qualcosa.


Chi è chiamato al fuoco interiore non lotta per difendere la propria individualità né per darsi da fare non perché è passivo ma perché aderisce quanto più possibile a ciò che viene dal Cuore anziché dalle fantasie della mente. Normalmente, quando questo avviene, il "cosa" diviene del tutto secondario al "come".

Il contrario di darsi da fare non è passività: è obbedienza.

Allora chiederei a questi: a quale "Io sono" sei aderente, se vuoi proteggere la tua individualità? Perché se davvero esperisci il divino, l'individualità è l'ultimo dei tuoi interessi. Letteralmente. E con essa tutto il suo armamento: capire, raggiungere, prevedere, progettare, sentirsi necessari. Queste cose non vengono respinte: scompaiono, le brucia il Fuoco. Ma voi ragionate sempre per opposti, per scelte, non vi spostate di livello. State nei concetti, nel padroneggiare, partite dal protagonismo quasi che non esistesse un Dio che vi sostanzia ben prima di ogni vostra illusione: non mollate l'ancora.


Ogni concetto, ogni bisogno, ogni cercare andrà svanendo.


Be naked. Worship the Real.

Maddalena


Ciò che dico lo dico dall'esperienza. I link che riporto appaiono nella mia vita sempre dopo ciò che già è accaduto in me come spontanea comprensione: li riporto solo perché da fonti più note del mio piccolo Cuore.

Sadhguru sull'ossessione della mission: https://www.youtube.com/shorts/Wa9Dtwz4wFQ

Sadhguru sulla necessità di dissolversi: “You cannot find it, you cannot understand it: you can only dissolve into it. There is no other way”: https://www.youtube.com/shorts/BQIv3dxVd7o

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