Sei sola. Lo eri prima e lo sei adesso. Lo eri quando eri dietro a tutti, inadeguata. E lo sei adesso, davanti a tutti, inadeguata. A fare da apripista.
Se arrivi al Risveglio come me, dopo una vita passata nel tormento interiore, conosci bene la solitudine.
È la solitudine degli artisti, dei creativi, dei fuori-gregge. Quella che ti ha spinto a lungo a cercare di adattarti, che ti faceva dire: “Mi sembra che tutti giochino a un gioco di cui solo io non capisco le regole”.
Per un lungo tempo hai creduto che questa inadeguatezza fosse una colpa. Hai lavorato su di te, hai forse fallito (apparentemente) molti percorsi, sia terapeutici sia lavorativi e progettuali. Finché qualcosa ha cominciato a spingerti verso la ricerca spirituale.
Allora per un po’ sei stata meno sola: avevi qualcosa da cercare, e avevi probabilmente qualche gruppo almeno virtuale cui appoggiarti. E letture che confermavano che non sei così diversa e folle da altri che, come te, sentivano che la vita “non è tutta qui”. Che mancava qualcosa. Di antico, di viscerale.
Il motivo della solitudine è duplice:
c’è la solitudine sociale, data dal tuo senso di inadeguatezza. E c’è la sensibilità a quella che è, in verità, una solitudine di tutti: è la separazione dalla verità di chi siamo, dalla coscienza Universale, cui ogni animo anela.
Tu la senti di più perché hai una sensibilità più pronunciata, perché la coscienza ha deciso di chiamare più forte, e la macchina egoica non basta a coprirla. Tutto qui.
Dopo un lungo lavoro sulle ferite, sui cosiddetti “traumi”, hai cominciato a intuire che il dolore residuo non era più perché qualcosa andava sanato, ma perché l’enormità di chi sei chiedeva di emergere. Chiedeva la resa.
Se sei stata spinta abbastanza forte da questa coscienza, non hai potuto fermarti nemmeno dove molti si fermano: al compromesso di essere un soggetto decisionale che applica a sé stesso la fede in un “Dio”. Quella forza che ti vive, sta diventando chi sei, l’intermediazione di un “io” illusorio sta scemando. L’Assoluto sta diventando la tua identità, e il relativo la semplice forma dell’Assoluto.
Eppure: sei ancora sola.
Esistono due tipi di disconnessione, diciamo tre:
la prima è quella di cui ho detto, fomentata dal senso di inadeguatezza ai canoni sociali (che è in verità la chiave della tua Chiamata) e dalla sensibilità alla solitudine arcaica della separazione dall’Uno. La seconda è quella che sperimenti più volte durante il processo di Risveglio, nelle notti buie dell’anima, nella fase del vuoto, nelle fasi di depersonalizzazione in cui non sai più chi sei perché le maschere egoiche non reggono più.
La terza è questa: sai chi sei. Ti guardi intorno. E sei in mezzo a tanti individui apparenti che non sanno, che vivono ancora nell’illusione.
“You have overgrown your reality”: hai superato la realtà dell’ambiente in cui vivi. Questa realtà non ti corrisponde più. Lasci cadere vecchi progetti, vecchi sogni che non risuonano più con chi sai di essere, che si rivelano come bisogni superati, desueti. Lasci andare amici. Questa disconnessione non è come quella depersonalizzata del vuoto: ora sei chi sei. Ma è comunque una sfida per la nostra vulnerabilità.
Sei sola. Lo eri prima e lo sei adesso. Lo eri quando eri dietro a tutti, inadeguata. E lo sei adesso, davanti a tutti, inadeguata. A fare da apripista.
La solitudine gioca forte perché è la ferita di una vita. E quando anche da “persona” identificante diventa semplice forma-pensiero o pattern, si riattiva nonostante il Risveglio proprio perché esistenzialmente, tecnicamente, sei davvero nuovamente sola. Era un pattern, è una situazione temporanea fattiva, preme su una cicatrice.
Questa situazione di solitudine può produrre paragone con gli altri per incertezza e bisogno, necessità di dimostrare, possesso della conoscenza, ma anche la riattivazione o permanenza del pattern.
Tenderai a voler mostrare ciò che hai visto, perché non vuoi stare sola nella scoperta della verità.
La libertà che hai trovato vale più dei confronti e delle rivalse, e tuttavia il pattern crea sofferenza.
Come si esce, da questa situazione di libertà quasi privata?
Si esce come sempre, con la stessa risposta che ti ha portato fin qui, che ti ha permesso la resa, che ti ha persuasa a lasciare qualsiasi condizione. Si esce ancorandosi al Sé, coltivando ancora di più la verità di chi sei.
È importante cercare conferma e conforto non più in ciò che abbiamo lasciato ma in ciò che siamo.
Non nel relativo ma nell’Assoluto. Shunyamurti dice: “Attaccati solo alla Forza Interiore, arresa senza condizioni al divino”.
Fidati ciecamente di chi sei. Fidati ciecamente dell’infinito silenzioso. E proprio perché sperimenti difficoltà, fidati ancora di più e fatti da parte come mente pensante, dubbiosa e sofferente, nella vastità che hai esperito. Lascia che sia il Sé a fare, scegliere, creare, manifestare a suo tempo. Serve tempo, perché la materia segua. Non spaventarti in alcun modo per questo dolore da solitudine. Non serve lavoro alcuno. Serve la tua presenza al Silenzio. Serve che la tua attenzione sia sulla Verità, perché è questa che scioglie la solitudine, perché la vera solitudine è non essere chi sei. E perché solo da questa presenza a chi sei, il cuore animico manifesta sé stesso nei simili e nella materia. Facendola fiorire oltre questo passaggio apparente e temporaneo di non corrispondenza con l’ambiente e le relazioni.
Non preoccuparti di nulla. Preoccupati solo di coltivare il Silenzio. La sua enormità ti sarà respiro, pace, nutrimento, occasione, manifestazione.
La Verità manifesta Verità.
Link utile, Christina Lopes: Signs Of Spiritual Awakening: Feeling Disconnected & Lonely
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