Molti usano come scusa la guarigione e il lavoro su di sé, io il sapere. Sono sempre modi di restare un io.
Sono vocazioni e talenti, che l’identificazione si prende pur di restare esistente e non cedere al Sé, al non-io.
È l’ego zero che prende l’ultima fermata, l’ultima cosa forte quando le altre hanno smesso la loro padronanza e sono evidenti illusioni incapaci di reggere il senso di “me”.
Quando hai visto che quel te l’hai guarito, quell’altro l’hai lasciato, quell’altro ancora è sbiadito, e quell’altro non è davvero chi sei… quando finalmente hai sperimentato la realtà nuda senza l’io, allora l’ultima resistenza mentale (prodotta da automatismo ma anche da istinto di sopravvivenza e dall’abitudine a obbedire inconsapevolmente a questo istinto) spesso riaffiora: si accaparra la scoperta stessa, nidifica su di essa, ti fa maestra, ti fa portatrice, ti rende “qualcosa” pur di farti un soggetto personale. Impugnerà perfino sé stessa, chiamandosi “ego zero” e
mostrando come tutto sia illusorio si renderà superstite in questo sapere.
Ma siccome un ego ne produce altri, riemergerà l’ego del compiacimento, l’ego che rifiuta i primi due, l’ego che cerca soluzione, l’ego che ravviva le pratiche spirituali, l’ego che dice di lasciare tutto, l’ego paciere che si autoelegge “ricercatore spirituale” e con questo s’illude di aver incluso e quietato ogni contesa. La volontà che ti resta, a questo punto, devolvila al silenzio totale.
Coltiva la verità, non l’illusione: più c’è rumore mentale, più va alzato il silenzio.
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