Alla fine la grande differenza tra il direct path e la via progressiva è la stillness, la non azione, il non movimento. Questo è molto più radicante della via progressiva perché non c'è tensione verso, non si parte dall'identificazione in un pellegrino e un pellegrinaggio. Si scopre ciò che non si è ma anche ciò che si è: qui, adesso. Interi. Esatti.
Si smette di porre dio dopo questa o quella correzione, dopo questo o quel miglioramento. Contrariamente a quanto asserisce qualcuno della via progressiva ("devi fare la tua parte, non è che ti arrendi e stai a guardare il soffitto") o anche il giudice mentale interiore, questa non è inerzia né resistenza, ma totale ritorno alla purezza e al suo potere impersonale e non separato.
Si sprofonda in questa innocenza non mentale, pervasiva, affidata e radicante dove
quanto più stiamo fermi interiormente e in ciò che è, vuota la mente, tanto più la trasparenza e chiarezza della presenza permette la nudità di un cuore spirituale che non è mai stato altrove e non ha mai chiesto alcuno spostamento.
Nel movimento continuo non può esserci fede, perché sei continuamente separato: separato da ciò che cerchi, separato dal qui e ora, separato dagli altri che "disturbano" il tuo pellegrinaggio, separato dall'anima che non si è mai mossa, separato dal non luogo e non tempo della coscienza, della tua natura.
Allora la fede diventa un ponte per collegarti a ciò che hai separato. Ma la fede è ciò che sei, quando non c'è movimento alcuno della mente.
La forza che emerge da questa immobilità, da questa non domanda, è al contempo transpersonale e mistica. Ci conferma la grandezza del mistero cui apparteniamo. Ci inchiniamo a tale grandezza. E sorridiamo per tutte le volte che abbiamo creduto di poter essere il protagonista che fa questo o quello, per raggiungerla.
Be naked, be still.
Maddalena
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