Il Silenzio non è un io zitto
Baret parla di “presentimento del silenzio”: ecco, se abbiamo la mente zitta ma è rimasto il sapore dell’ultimo pensiero o emozione, del prossimo impegno, il retrogusto di una preoccupazione, di qualcosa di pending, di una ricerca di soluzione, una qualche tensione verso, un tener presente in sottofondo, allora non siamo nel presentimento del silenzio, ma di “noi”, di questa o quella immagine o preoccupazione o impegno. La mente non è attiva ma passivamente è ancora focalizzata sull’ultimo o il prossimo scenario. Non siamo presenti. È una presenza molto superficiale,
afferriamo il bicchiere, beviamo, stiamo attenti al sentire i cinque sensi, l’intorno, l’ambiente, il corpo, ma tutto questo accade nel radicato senso di essere “io”: sono “io” che sto zitta, che faccio questo o quello.
Non ho isolato il gesto assoluto, non ho lasciato andare ogni sapere, ogni altra variabile, non mi sono consegnata alla presenza. In un certo senso, sto ancora agendo in multitasking, non ho vuotato il resto. Il sentimento che deriva da questa concentrazione è di densità. Vuol dire che siamo ancora attaccati al “senso di noi”, a una qualche immagine di noi, a un sapore fatto di idee e pensieri. Nella presenza vera ogni immagine è stata lasciata, non ci sono residui, non c’è niente che non possiamo perdere, non dipendiamo da nulla, nulla è in sospeso: il gesto accade in un vuoto cavo, non si cerca di essere niente, di diventare nulla, di tener presente o trattenere alcunché. C’è solo il gesto. Il concerto della Vita che vive sé stessa.
Be naked. Disappear.
Maddalena
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