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Non amarti

Dobbiamo pensare che non abbiamo sbalzi di umore, del tipo un giorno siamo felici e un giorno tristi. La verità è che siamo naturalmente felici.

La tristezza è mancanza di connessione alla nostra naturalità.

Dobbiamo anche pensare che non è pensabile imparare davvero ad amarsi se non da uno spazio nuovo, che attinga a questa fonte naturale della nostra stessa sostanza. Se non ti vuoi bene, o se non sei felice, vivi arrabattandoti, vivi sempre cercando compromessi tra la paura e la vita, tra protezione e apertura.

Quello che chiami “amore di te” è una specie di accettazione mentale che va dalla sopportazione all’attaccamento.

Sei attaccato a te perché sei la vita più vicina che hai, perché è istintuale. Il problema è che imparare ad amarsi non ha niente a che fare con questo. Il più delle volte va in direzione esattamente contraria a questo “amore” apparente, dovrai in verità togliere, molto più che abbracciare, elevare, migliorare: si tratta molto più di togliere la polvere, che di incollarla per sentire che ci accettiamo. Nel delicato lavoro di non spazzolare con foga, ma di non cadere nemmeno nell’inganno che la polvere sia quello che siamo. La polvere è la risposta all’esposizione, ma non è noi. “Tu” sei qualcosa su cui la polvere si è posata e poi l’hai inspessita per proteggerti.

Quello che chiami “io” è come tu ti sei affezionato a tutto l’insieme delle tue ferite, del tuo leccartele, delle tue relazioni, delle idee che ne hai fatto, dei giorni che hai pianto e di quelli che hai riso, dei tuoi gusti, delle tue manie.

Quando si dice ama te stesso, si lancia un appello discutibile: se tu sapessi amarti, non avresti bisogno di questo invito. E se tu non ti ami, cercherai di amarti come riesci, ossia attaccandoti a qualcosa che non sei.

Non amarti: scopriti. Lascia emergere.

Chi sei è ciò che eri prima di tutto quello che chiami “io”. E che è nato felice.
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