top of page

Quello di dio non è un "ti amo nonostante" ma un "ti amo sempre"

Senza colpa puoi rinunciare a te stessa



Quando dobbiamo stare attenti ai bisogni dell'altro, all'ascolto, a essere disponibili, quando dobbiamo perdonare, accettare, significa che stiamo vivendo sul piano chiuso della difesa, della paura. Abbiamo bisogno di non perdere di vista noi stessi, di non mancare qualcosa. Abbiamo colpa, vergogna e paura da qualche parte.


Abbiamo preferito coltivare a oltranza la fascia personale e viviamo proteggendola come il più grande tesoro, anziché coltivare uno spazio di vuoto, di non esistenza personale, di assenza di colpa.

Preferiamo avere fiducia in noi, pur di essere noi. Preferiamo essere generosi, pur di essere noi. Impariamo a volerci bene, pur di essere noi. Impariamo a essere più flessibili, migliori, nuovi, ma siamo comunque noi.

Dover essere attenti a noi significa dover sempre agire di proposito lo spazio per l'altro. Questo nasce da un semplice equivoco di base: crederci noi, e crederci protagonisti.

Ci sono due modi per essere realmente generosi: uno è aver talmente soddisfatto i nostri bisogni da poter fare spazio al prossimo, l'altro è non avere nulla. (Lo stesso nel donarci a dio).

Le gioie del protagonismo sono grandi. Eppure le gioie della rinuncia a noi, sono "cento volte tanto". Sono un'altra dimensione.


Io credo che cesellare l'ego porti semplicemente una nuova attitudine ma non la trasparenza, se non coltivi vuoto e divino, cioè: lasciare la colpa, fare libero, indipendenza dal pensiero, non dualità, divino.

Bisogna uscire dal piano della colpa, che è origine della tensione a fare, a difendersi, giudicare ciò che accade, avere paura, pensare, solitudine, auto conforto, chiusura.

La colpa nasce dal giudizio ma, prima ancora, il giudizio nasce dalla colpa, e ha l'intento di proteggerci da colpe ulteriori.

Il senso della confessione cristiana, ad esempio, non dovrebbe essere quello di rimarcare quanto abbiamo bisogno di pentirci, quanto siamo colpevoli, ma quanto siamo amati.

La confessione non serve a dio, serve a noi, serve alla nostra apparenza umana. In altre parole la confessione non dovrebbe aumentare in generale l'identificazione col peccatore ma col redento, ecco perché Gesù è risorto.

L'utilità del sentirci piccoli non è per diminuire l'autostima ma per accrescere la resa, l'accesso al solo potere interiore. Non siamo nulla come io mentale ma se rinunciamo a questa arroganza e ai suoi possessi, avremo cento volte tanto.

Ecco perché diffido sempre dagli "interventisti" che fanno tanto lavoro interiore. Perfino il "mi voglio bene" andrà abbandonato, non perché sia errato ma perché accade ancora mentalmente ed emotivamente, nell'arroganza di crederci artefici: "Mi voglio bene" è ancora un cercarsi, un proteggere qualcosa.

Abbiamo talmente sposato l'identificazione nella colpa (anche nel cristianesimo) da essere perennemente separati da tutto:

ecco perché il mondo pullula di corsi di crescita personale e apparente crescita spirituale e di lavoro interiore. Non sappiamo credere all'amore di cui siamo fatti. Legati al palo della colpa non possiamo lasciare noi stessi.


Una volta ebbi una terribile telefonata con mia madre,

con la quale ci eravamo e ci saremmo scontrate per decenni. Ero in una fase molto personale di ricerca di me, completamente laica. Faceva parte di questo lavoro interiore cercare le conferme e l'intimità col genitore freddo, così le rinfacciai a mitra una valanga di cose e quanto miserabile lei mi avesse sempre fatta sentire.

Avevo bisogno di sentirmi dire: "Maddalena, ti amo con tutto il cuore, esattamente così come sei, e vedo la tua meraviglia". Quello che ottenni fu invece: "A Dio piaci lo stesso".

In un colpo solo aveva sgattaiolato dall'amarmi e si era protetta col solito Cristianesimo.

Non c'è da stupirsi se avevo lasciato ogni dio e chiesa.


Quello che accadde è che in verità questo è ciò che mi poteva dare. Succube di sensi di colpa mai processati (nessuno ne è esente) mi rinfacciò che aveva fatto questo e quello per me. Quando rinfacciamo ciò che abbiamo fatto ci siamo spostati dal piano dell'essere a quello del fare. Il piano della difesa ci difende col fare.

Quello che però stava dicendo senza forse saperlo davvero era: "Non cercare il mio amore impreciso, perché solo dio, e il dio che è in noi, ama".

Mi stava dando ciò che per lei era quanto di più prezioso e reale esista.

Non era ciò di cui avevo bisogno, perché

si attraversa una lunga fase egoica in cui vogliamo avere ciò che ci è mancato, e poi una fase in cui impariamo a darcelo da soli. Il volersi bene fa parte di quest'ultima.

Quello che sto dicendo è che via via si impara a superare anche questa, e si torna nell'umiltà di riconoscere che non un solo attimo, un solo gesto, un solo capello sono lì grazie a noi. Ma lo si fa da uno spazio di pace, si rinuncia al senso di colpa. Se volete, potete allora entrare in una fase di gratitudine per ogni cosa: questo è un modo per rendere sacra la vita e lode a Dio. Ma a mio vedere l'umiltà e la gratitudine sono un altro livello che si può superare: non c'è che silenzio, essere umili o grati ci separerebbe da ciò di cui siamo fatti, disturberebbe la contemplazione. Tale è il riconoscimento della nostra natura.


D'altro canto, mio padre era buono come è sempre stato, ma anche estremamente giudicante, faceva di ogni cosa una questione di principio. Ciò che ne ricavai fu una percezione del suo affetto all'incirca così: "Sono così buono che ti voglio bene anche se sei sbagliata".

Ognuno di noi cresce non con una colpa ma DA una colpa.

Tu che stai leggendo sei la storia che hai creato dal sentirti sbagliato.

Senza colpa sei libero, nulla da proteggere, niente da possedere, nessuno da essere o diventare.


Quello di dio non è un "ti amo nonostante" ma un "ti amo sempre".

Il "vuoto" è la dimensione intermedia tra me e il tutto, è l'assenza di colpa che rende possibile l'amore di cui siamo fatti.


Be naked, be the guilt-free emptiness,

Maddalena

bottom of page